Dal primo al 7 ottobre si svolge la Settimana vegetariana: eventi in tutto il mondo (alcuni anche in Italia) per invitare ad eliminare la carne.
Il nocciolo della questione secondo me è che il consumo di carne affama il mondo e danneggia l’ambiente. Nuoce agli esseri umani più poveri.
Ecco una rapidissima carrellata sui risvolti sociali e ambientali dell’allevamento del bestiame. La dedico a chi mette bistecche in tavola a pranzo e cena. Non gli chiedo di cambiare abitudini: solo di essere consapevole delle proprie azioni.
Innanzitutto, la carne affama il mondo. Le mucche vengono nutrite con granaglie, non con l’erba. Per produrre un chilo di proteine animali servono da 3 a 10 chili di proteine vegetali. Gli affamati sono in aumento, ma credo che la loro situazione migliorerebbe se non dovessero patire la concorrenza degli animali da macello.
E poi la faccenda dell’acqua. Quella disponibile per le attività umane non è poi così abbondante. Ebbene, un chilo di carne di manzo “condensa” 15.000-70.000 litri d’acqua: quella necessaria per produrre il cibo di cui l’animale si è nutrito.
Rispetto all’ambiente, mangiare carne è peggio che guidare un Suv. Ci preoccupiamo giustamente di spegnere la luce quando uscendo da una stanza: ma per confezionare e trasportare la dose di mangime servita quotidianamente ad un solo animale ci vuole una quantità di energia pari a quella utilizzata per tenere accesa una lampadina da 100 watt per la durata di 20 giorni.
C’è poi un rapporto della Fao intitolato “La lunga ombra del bestiame”. Dice che l’allevamento provoca più emissioni di gas serra delle auto, se si tiene conto non solo dell’anidride carbonica ma anche del metano derivante dai processi digestivi.
Ancora la Fao ha appurato che il bestiame utilizza il 33% delle terre, se si tiene conto anche della produzione del mangime, e rappresenta il 20% degli esseri viventi che il pianeta sopporta.