In attesa di esaminare domani il ricorso presentato da molte Regioni, la Corte Costituzionale ha bocciato una parte sostanziale del decreto legge che sanciva il ritorno dell’Italia al nucleare. E’ stato disintegrato nel silenzio totale dei maggiori media.
La sentenza è la numero del 9 giugno 2010. Essa ha cancellato, in quanto incostituzionale, il quarto articolo della legge numero 102 del 3 agosto 2009: il ritorno al nucleare, appunto.
Il nodo dell’incostituzionalità, tagliando con l’accetta: si è fatto per l’atomo un provvedimento urgente (un decreto legge, un pacchetto anti-crisi e per lo sviluppo) affidandone l’esecuzione a capitali privati, che sono per natura incerti: è una cosa inconciliabile con l’urgenza stessa.
Il quarto articolo del decreto legge sul nucleare diceva in sostanza tre cose.
Primo, che la costruzione delle centrali nucleari era faccenda urgente e indispensabile. Secondo, che essa sarebbe stata realizzata con capitali privati, o prevalentemente privati. Terzo, che il Governo avrebbe potuto istituire commissari straordinari con poteri esclusivi e totali a proposito dell’ubicazione delle centrali.
La questione della costituzionalità di questo articolo era stata sollevata dalle Regioni Umbria, Toscana, Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di Trento.
La suprema corte ha appunto stabilito che l’urgenza delle centrali nucleari non si concilia con il ricorso ai capitali privati per costruirle: un’azienda investe dove e quando le conviene, non al comando di un decreto legge.
Dice la sentenza: “trattandosi di iniziative di rilievo strategico, ogni motivo d’urgenza dovrebbe comportare l’assunzione diretta, da parte dello Stato, della realizzazione delle opere medesime”.
Dunque, se lo Stato non si muove in prima persona, le centrali nucleari non sono poi così urgenti. E di conseguenza “non c’è motivo di sottrarre alle Regioni la competenza nella realizzazione degli interventi”.
Domani, 22 giugno, la Corte Costituzionale si pronuncerà sul ricorso più famoso contro il ritorno al nucleare: quello promosso da 11 Regioni, anche se recentemente il Piemonte di Cota ha fatto dietrofront.
Questo ricorso verte sulla mancata previsione della necessità di un’intesa con le Regioni e gli enti locali a proposito dell’ubicazione delle centrali nucleari.