Ormai l’unica cosa su cui si può esercitare l’arte della previsione riguarda il momento in cui ne parlerà il Tg1 di Minzolini. E’ abbastanza unanimemente atteso per il 2012-2015 il picco del petrolio, cioè il momento in cui l’abbondanza di greggio sarà finita.
Contemporaneamente sarà finita l’abbondanza tout court, visto che il petrolio facile è il presupposto del nostro benessere e del nostro stile di vita.
I vaticini concordanti vengono da Shell, da esercito americano, da manager inglesi… All’elenco ora bisogna aggiungere anche l’Iea, l’agenzia europea che si occupa del monitoraggio delle fonti di energia.
Sono anni che scrivo di imminente fine dell’abbondanza e della necessità di prepararsicambiando le abitudini. Che io lo ripeta non cambia. Cambia, eccome, se alle cose che io dico da sempre si sommano sempre nuove conferme. Attendibilissime. E allora cosa bisogna fare?
“Picco del petrolio” non vuol dire che il petrolio finirà improvvisamente. Vuol dire che ne verrà estratto di meno rispetto a tutto quello che sarebbe richiesto dal mercato. L’aumento di prezzo è la conseguenza più immediata. Ma non solo.
La minore disponibilità di greggio si ripercuoterà sul cibo: pensate al petrolio “incorporato” nei raccolti attraverso concimi chimici, trattori, serre climatizzate. Si ripercuoterà sugli spostamenti (compresi i viaggi delle merci) e sul riscaldamento delle case.
Sarebbe, come dire?, altamente auspicabile che i politici si dessero da fare per minimizzare le conseguenze del picco. Bisognerebbe ripensare i quartieri residenziali sparsi attorno alle città, che se non hai l’auto non vai proprio da nessuna parte, e il trasporto collettivo.
Poi il cibo: se far viaggiare le derrate alimentari diventerà più difficile, sarebbe bene dare una mano (anzi, magari due) all’agricoltura, visto che l’Italia deve importare grano, carne, latte e perfino olio d’oliva. E soprattutto dare una mano all’agricoltura biologica, visto che fa a meno di sostanze chimiche di sintesi per le quali serve anche il petrolio.
Bisognerebbe coibentare meglio le case, affinchè sia possibile scaldarsi consumando meno. Diminuire, e rendere più efficiente, l’uso dell’energia elettrica. Indirizzare gli investimenti sulle energie ricavate dal vento e dal sole, che (al contrario dei soldi spesi in centrali nucleari) non hanno bisogno di anni e annorum prima di diventare produttivi.
Oltretutto le rinnovabili non dipendono dall’uranio di importazione (che richiede energie fossili per essere estratto e lavorato), non inquinano l’aria e non espongono al rischio di incidenti catastrofici.
Macchè. Non ho mai sentito un politico, nè di maggioranza nè di opposizione, fare un discorso sulla necessità di cambiare le abitudini collettive e di pianificare un futuro con meno petrolio.
La statura dei politici italiani è piuttosto bassina. Però secondo me anche loro non potranno fare troppo a lungo finta di non vedere e non sentire il picco del petrolio in arrivo. Resta dunque l’ultima incognita: quando ne parlerà il Tg di Minzolini?